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fabio angeli: voce, chitarra
massimiliano grasso: armonium, fisarmonica, piano rhodes, voce
giovanni bianchini: batteria
giovanni butori: basso
alessandro frediani: diamonica, glockenspiel, vibrafono

Produzione artistica esterina
Produzione esecutiva Donatella Turri (Caritas Lucca), Gabriella Mauri (Ce.i.s)
Assistente di produzione Marco Bertolani
Registrato da Michele Vannucchi e Cristian Lugnani presso Chiesa di Santa Giulia (Lucca)
Missato e martirizzato da Max Gardini presso Groove Factory (Bologna)
Artwork: Unleaded

Fero s.c.

Storge il fero per il cancello,
salda il danno di lamiera
alla casalinga poco sincera,
al vagone di gente che piange e si recinta.
Canta gli occhi chiusi,
prega con gli sputi.

Sei passato e non l’hai visto
acchiappare rame al fico
che il suo di padre fece terra
e il suo sorriso antico a cielo aperto.
Sei passato e non l’hai visto
perché non vale niente dentro al cesto,

è cemento di notte,
è di fero e di botte,
è saliva di un giorno,
è acqua di un bozzo,

è cemento di notte,
è di fero e di botte,
è saliva di un giorno,
è acqua di un bozzo,
è il dolore di un mondo,
è risata in un fosso.

È cemento di notte,
è di fero e di botte,
è saliva di un giorno,
è acqua di un bozzo,
è il dolore di un mondo,
è risata in un fosso.

È cemento di notte,
è di fero e di botte,
è saliva di un giorno,
è acqua di un bozzo,
è il dolore di un mondo,
è la vita che posso.

Senza resa s.c.

Sbattono persiane al vento le mie ossa,
chiamano la terra che con sé mi porta.

Dicono di me che sono acqua sporca,
ridono di me che sono solo crosta,
spillano di me quello che li rivolta,
spogliano di te il fiore rotto in bocca.

Senza resa,
scavare nella carne vie d’uscita.
Senza resa,
scavare nella carne vie d’uscita.

Sbattono persiane al vento le mie ossa,
cercano di me quello che non si tocca.

Senza resa,
scavare nella carne vie d’uscita.
Senza resa,
scavare nella carne vie d’uscita.

Povertà s.c.

Morde chi è senza
sole dolce di vacanza,
chi ricorda a stento
il fratello in fretta morto,
chi di Dio riconosce
i ginocchi sulle tempie.

Storge chi da sempre
prende fiato per favore,
di lavoro cuoce
per maglioni o canterali.
Ni suonavan tutti uguali:
cani e maiali.

Come cresce e sta la tua povertà?
Come ti sta?
Come cresce e sta la tua povertà?
Come ti sta?

Stanca questa gente,
allevata a vittoria,
guarda solamente
chi ha un posto da occupare.
Mi cantavan sempre uguali:
preti e militari.

Come cresce e sta la tua povertà?
come ti sta?
Come cresce e sta la tua povertà?
come ti sta?
Come cresce e sta la tua povertà?
come ti sta?
Come cresce e sta la tua povertà?
come ti sta?

 

Gina s.c.

È la storia di Gina
scesa di notte in cucina,
chiamata a fare un impasto
per un solo biscotto.

È la canzone di Gina:
respirare di sentina,
posare ogni istante rimasto,
spigolare malapena.

È una vita senza passo,
bere il cuore da fermo.
È incendiare la paura,
annegare di cancrena.

È la storia di tutti,
quella che stiamo giocando:
mettere mano al bosco dei giorni,
farne un deserto perché ci ricordi.

È la storia di tutti,
quella che stiamo scontando:
mettere mano al posto dei giorni,
farne un deserto perché ci ritorni.

È la storia di tutti,
quella che stiamo ammalando:
esserne parte perché ci conservi,
farne un disastro perché si racconti.

È la storia per tutti,
quella che Gina racconta:
mettere un corpo al posto dei giorni,
farne una terra perché ci riporti.

Baciapile s.c.

Bacio pile,
lustro panche,
giro assegni
sogno mutande.

Baci e abbracci,
mangio l’agnello,
scambio la pace
mi piace il randello.

La mia sazietà è una condizione permanente:
faccio solo e sempre ciò che conviene veramente.

Scendo in cantina,
la mi’ cugina
n’insegno il silenzio,
la patria, l’alterco.

Vendo l’olio
(tu’ madre in cucina)
dopo la messa
c’è la dottrina.

La tua verità è una condizione deficiente:
serve solamente a serbarti meno perdente.

Tossico è il silenzio dentro me
Tossico è il silenzio fuori me
senza sangue nelle vene,
con l’odore di tarpone.

La malattia
un rigore che non ho
trasudo mania,
torpore che non so
moderazione:
ragione che non ho
simulazione:
ragione che non ho.

Tossico il colore che non ho
tossico il colore che non ho
caustico il sapore che ho di me
caustico il sapore che ho di me.
Senza sangue nelle vene,
con l’odore di tarpone.

La nostra storia s.c.

Tu che pratichi spesso l’amore d’occasione,
quello che brucia bene e non lascia mai l’odore;
tu che con senso degli affari e domestico rigore
scambi guadagni e sentimenti ragioni e plusvalore.

Tu che finanzi a rate il sorriso e la passione,
quella che costa poco, ma in bella confezione.
Tu che misuri sempre la giusta reazione,
faccia con la cravatta di spine il cotrione.

Amore, Amore, Amore, Amore,
attacca la fresa al trattore.

Tu che scomponi l’ideale e l’affidi all’uomo medio,
solo per conservarlo al tuo perenne assedio.
Tu che con vago e sistematico sforzo di trazione
scegli e con cura ti ritagli la giusta posizione.

Sale s.c.

Era mio amico:
mangiava lo stesso prosciutto,
beveva il mio vino
cattivo
l’aglio che portava in tasca
racconta.

Sudato di sale,
cotto dal sonno poteva
mordere il sole,
sputarlo nel mare,
scrivere sangue
qualcosa che adesso
ci pare banale.

Fermo di marmo,
arreso, lascia sfilare
il sangue rapace.
La merda audace
divora le membra
stanche di un uomo in panne.

Riarso dal male,
guarda il tramonto sul mondo
che affoga se stesso
rituale pagano
di cose e persone
per sempre
perse nel niente.

Non c’è più quello che amerà di più.
Non c’è più il mondo che ha immaginato di più.
Non c’è più quello che amerà di più.
Non c’è più il mondo che ha immaginato di più.
Non c’è più quello che amerà di più.
Non c’è più il mondo che ha immaginato di più.

L'attesa s.c.

Tesse ancora,
tesse sola,
misurare
un giorno ancora.

Scende madre,
miete padre,
prosciugare
la mia storia.

Di mi’ madre
porto ossa,
di mi’ padre
le ginocchia.
Dei miei figli
so il dolore,
di ogni uomo
il loro avere.

Mi rapina
cavare un senso,
mi divora
e non basta ancora.

Mi dimora
stare attesa,
dissanguare
mi riposa.

Tienilo per me,
tienilo con te,
muoio di quello che non è più.
Tienilo con te,
tienilo per me,
muoio di quello che non so più.
Tienilo con te,
tienilo perché
vivo di quello che non è più.
Tienilo con te,
tienilo perché
vivo di quello che non è più.

Tesse ancora,
tesse madre,
misurare
la mia storia.

Non ni basta,
non ni basta,
al mi’ demone il mi’ nome non ni basta.
C’è una conquista,
c’è una conquista,
vole che il mi’ nome resti dentro una catasta

Non ni basta,
non ni basta,
al mi’ demone il mi’ corpo non ni basta.
C’è una conquista,
c’è una conquista,
vole che il mi’ nome resti dentro una catasta

Tienilo con te,
tienilo per me,
vado sola
ancora e ancora.

Tienilo per me,
tienilo con te,
vado sola
ancora e ancora.

Tienilo con me,
tienilo perché
vado sola
ancora e ancora.

Tienilo con te,
tienilo per me,
vado sola
ancora e ancora

Razza di conquista s.c.

Autostrade di cemento
mani lame che mi leccano.

Scappo in piedi da una macchina:
ossigeno e strada non ni basta,
collo e seno mio non la convince,
stringe e cerca l’osso che la spenge.

Si sistema la giacchetta,
via le grinze con l’odore di minestra
della mia cucina stretta e la mi’ mamma
che non parla perché non sa dove porta,
sciacqua le posate con più forza.

Mi traballa e sviene
è fango che mi stende, mantice
sul bianco di una mattonella fredda
che di pelle mi racconta
e non si scorda
perché sa cos’è che costa
esser della razza terra di conquista.
Piange perché sa dov’è che costa
essere sotto il tacco di chi pesta.

Cerco una finestra diga,
bozzo, nave senza riva.
Cerco una finestra fredda,
tramontana che mi secca.
Cerco una finestra a piombo,
che sia draga che sia fondo.
Cerco una finestra cane:
traboccare denti e lame.
Cerco una finestra diga,
bozzo, nave senza riva.
Cerco una finestra fredda,
tramontana che mi secca.
Cerco una finestra a piombo,
che sia draga che sia fondo.
Voglio una finestra cane:
traboccare denti e lame.

Nodata s.c.

Le tue mani di vescica
il tuo cuore di saliva
il tuo odore di coraggio
la tua lingua di silenzio.

Il tuo gesto di memoria
le tue labbra senza storia
la tua pace di abbandono
il tuo buio sotto un uomo.

Il mio stare di cisterna
il mio andare di: “non basta”
la mia fede di ferita
il mio vuoto di salita.

E non è la distanza
ad abitare l’assenza.

Le tue mani di salita
la mia pace di saliva
il tuo andare di coraggio
il mio vuoto di silenzio.

E non è la distanza
ad abitare l’assenza.

Assassini non ti servono
e chiedono di me.
I cugini si sorprendono
a vedere che
i miei calzini si contentano
a potere che
le ragioni si distraggono
a sapere te.

Dare niente da lasciare al male
fare sempre per considerare.

Assassini non mi servono
e chiedono di te,
i cugini si sorprendono
a vedere che
i miei calzini si contentano
a volere che
le ragioni si distraggano
a sapere te.

Dare niente da buttare al male
stare cuore di desiderare.

Sono come vuoi che sia s.c.

Mi domanda e non mi chiama mai.
Chi è che viene e non gli basta mai?

La roulotte è quella bianca là,
tra le macerie di un’estate.
È alla canna, il gas che affonderà,
il respirare mio bambino.

È sulla spiaggia quello che incanta la
ragione di restare ancora:
potere pescare un pesce che sa già
il tuo sapore andato a male.

Sbranami di notte,
chiudimi cancello-ruggine,
collassa la vertigine:
sono come vuoi che sia.

Sciacquami di botte,
versami bicchiere,
spacca il vuoto che resiste:
sono come vuoi che sia.

Sono come vuoi che sia.
Sono come vuoi che sia.
Sono come vuoi che sia.
Sono come vuoi che sia.
Sono come vuoi che sia.
Sono come vuoi che sia.
Sono come vuoi che sia.
Sono come vuoi che sia.
Sono come vuoi che sia te.

Ciò che resta s.c.

Non è il mare ad affogare
né la terra a seppellire
non è il vino a vomitare
non è il prete a benedire
non è il porto ad ormeggiare
non è il freddo a dimagrire
non è il fumo a salutare
questo fuoco senza tempo

non è il soldo a guadagnare
non è il vento a provenire
non è il sangue ad ammalare
non è il sole a svenire
non è il viso a vergognare
non è il padre a guarire
non è fiamma a bruciare
questa fine senza tempo.

Brucia ciò che resta
di questo mondo che mi sovrasta.
Brucia ciò che resta
di questo mondo che mi sorpassa.

Brucia testa, gambe e gola,
i miei vent’anni e la parola che mi brucia
sempre rosso accesa
mai vinta e mai spesa.

Brucia ciò che resta
di questo mondo che mi sovrasta.
Brucia testa, gambe e gola,
i miei vent’anni e la parola che mi brucia
sempre rosso accesa
mai vinta e mai spesa.

Indecorose. esterina senzacorente

©℗ Le Arti Malandrine | Distribuzione Goodfellas
  • 1 Fero s.c. Caricamento... 5:10
  • 2 Senza resa s.c. Caricamento... 4:57
  • 3 Povertà s.c. Caricamento... 4:00
  • 4 Gina s.c. Caricamento... 3:46
  • 5 Baciapile s.c. Caricamento... 5:36
  • 6 La nostra storia s.c. Caricamento... 4:24
  • 7 Sale s.c. Caricamento... 3:36
  • 8 L'attesa s.c. Caricamento... 7:32
  • 9 Razza di conquista s.c. Caricamento... 3:40
  • 10 Nodata s.c. Caricamento... 5:34
  • 11 Sono come vuoi che sia s.c. Caricamento... 3:55
  • 12 Ciò che resta s.c. Caricamento... 6:19
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